Tutti i giorni viviamo un numero variabile di conflitti.
Di alcuni non ci accorgiamo neppure, altri invece lasciano il segno e possono cambiare la vita intera. Comunque tendiamo a scoprirli e a considerarli problemi da cui è meglio tenersi alla larga. Eppure i conflitti possono essere incredibili occasioni di apprendimento su noi stessi e sugli altri, possono aiutarci a incrementare le competenze relazionali e sociali e a migliorare la qualità della nostra vita. Dai conflitti è possibile imparare, questa è la prospettiva inedita che offre questo libro di Daniele Novara, pedagogista e formatore di lunga esperienza. Il conflitto appartiene all’area della competenza relazionale e per questo la fatica nel conflitto è una condizione imprescindibile per mantenere buone relazioni.
Saper gestire la conflittualità consente di vivere relazioni come vitali e significative e quindi può rappresentare l’antidoto alla distruttività umana. Nel mondo attuale sempre più complesso la capacità di gestire i conflitti o meglio di “sostare” nei conflitti diviene quasi una necessità di sopravvivenza. Nel conflitto l’altro mi obbliga a considerarlo e a vedere un altro punto di vista. Non si tratta di volersi bene a tutti e costi con una pacca sulla spalla, ma sapere che la pace e la serenità sono conseguenze della gestione del conflitto, non dell’assenza dello stesso. Sovente una persona che ricorre alla violenza è incapace di tollerare i conflitti perché non è in grado di reggere la frustrazione relazionale. Stare nel conflitto significa imparare a gestire gli aspetti difficili, il disagio, lo scontro l’aggressività e tutto quello che accade nel momento in cui una divergenza entra nella relazione interpersonale.
Bisogna cominciare a guardare i conflitti non come incidenti di percorso, problemi da rimuovere o da temere o pericoli da evitare, ma come elementi necessari alla crescita.
I conflitti sono necessari perché offrono nuove opportunità di apprendimento. Si tende a vedere qualcosa di sbagliato nel conflitto, all’interno del quale emerge spesso un vissuto infantile collegato all’esperienza del conflitto, come il senso di abbandono, l’esclusione, la paura, le gelosie, l’umiliazione, lo scarso riconoscimento, la mancanza di comunicazione… Tutto ciò ci porta inconsciamente a non valutare con chiarezza l’esperienza che stiamo vivendo. Quando non si trova il modo di chiarire il conflitto come crescita, resta sofferenza rabbia e rancore. Il conflitto è sostanzialmente pretestuoso, con delle problematiche ben più profonde, sotterranee che sono sempre le più significative. È fondamentale collocare il conflitto nell’ambito ben preciso, individuare quali sono i bisogni in gioco che emergono o non emergono dalla situazione.
Attenzione alle emozioni, che se non vengono gestite, possono essere devastanti e agli elementi di difesa adottati per mantenere vivo un conflitto. Per cominciare a gestirlo è fondamentale la sospensione del giudizio, senza volere a tutti i costi trovare il colpevole, una giusta distanza, e il desiderio di capire cosa accade. Il distanziamento permette di leggere in modo obiettivo il conflitto. Un eccessivo coinvolgimento specie emotivo impedisce di cogliere le dinamiche, ecco perché serve imparare a gestire subito l’urgenza della fuga o il desiderio di un attacco.
Molto spesso un conflitto nasce da un bisogno, bisogni di sicurezza, di protezione, di affetto di identificazione, bisogno di stima, di prestigio, di realizzazione del sé. In quel conflitto c’è una richiesta di aiuto?
È importante la capacità di riconoscere le emozioni, cosa sto provando, cosa stanno provando gli altri. Quale tasto dolente sto toccando? E ancora è importante vedere i vantaggi, il tornaconto del conflitto. Ci rendiamo conto che molto spesso un pretesto banale nasconde dimensioni di altra natura, scatenando un conflitto che nasce da un bisogno insoddisfatto, da una frustrazione o da una incapacità di comunicare. Questo perché il esso nasconde il “tasto dolente”, struttura interiore collegata ai vissuti dell’infanzia che hanno prodotto una sensazione di dolore. Questo residuo di sofferenza mantiene la sua vitalità e la sua forza anche nel resto dell’esistenza ed emerge nei conflitti. Per esempio dover essere sempre la “brava bambina”, dimostrare agli altri di essere perfetti, vivere la sensazione di abbandono, di rifiuto e questo provoca rabbia, paura, vergogna aggressività.
Nei conflitti dobbiamo fare i conti con le nostre emozioni… collera, paura, tristezza, vergogna, gioia. Bisogna saper leggere le emozioni e creare con esse un dialogo continuo affinché non viaggino a ruota libera diventando a volte devastanti.
È fondamentale dire quello che si sta provando dentro il conflitto e riconoscere le emozioni che hanno spinto ad agire in un certo modo. La narrazione e la comunicazione aiutano a ridurlo, con la consapevolezza che il processo di conoscenza di sé stessi e l’apprendimento personale sono una grande opportunità di crescita e di evoluzione.
di Cinzia Zanardo