La donazione di sangue, un’esperienza indimenticabile.
Una delle cose che mi piace di più di Treviso 30 News è che il nostro direttore, Giampaolo Zorzo, ha una grandissima fiducia nei propri collaboratori, e permette loro di scrivere anche esperienze in prima persona in totale libertà. E così, quando gli ho proposto di raccontare la mia storia di donatore, ha accettato con entusiasmo.
Perciò, eccomi qua, pronto a raccontarvi di come, a 39 anni, ho deciso di donare il sangue.
E’ una storia che parte da molto lontano, un seme gettato almeno 30 anni prima sotto forma di adesivo appiccicato assieme a tanti altri su un armadio di casa. Quella goccia rossa mi piaceva tanto, per la forma, per l’aspetto sorridente.
Insomma, ispirava fiducia. Ma, c’è un ma, ed è piuttosto comune: ho sempre avuto paura degli aghi. Già solo fare un prelievo di routine era una sfida notevole, dovevo stare con lo sguardo girato e non sopportavo quel pizzico con annessa fuoriuscita di sangue. Questo mi ha sempre fermato, la paura di sentire dolore, di star male o di svenire. Poi, nel 2009, ecco un fatto curioso: una mia cara amica, Elisa, mi chiede di partecipare ad Avisplash, una specie di “Giochi senza frontiere” nazionale organizzato dall’Avis di Gossolengo, in provincia di Piacenza. Ho partecipato come ospite speciale per dare una mano alla squadra di Rimini, che era già fortissima, e insieme abbiamo addirittura vinto! Eppure nemmeno quello è bastato a convincermi, testone come sono.
Ma l’idea era lì, c’era sempre. Nel 2016, quando seguivo Treviso Basket ancora come figura di supporto, un giorno al Palaverde venne Vanda Pradal, che era presidente provinciale e oggi è presidente regionale. Andai a sentire la conferenza stampa, poi aiutai ad organizzare il classico gioco dell’intervallo per promuovere l’Avis e rimasi molto colpito dall’entusiasmo contagioso che riusciva a trasmettere. Ma niente, più testardo di un mulo mi ostinavo con quella stupida paura degli aghi.
Poi un pomeriggio di due anni fa intervistai quello che, ad oggi, è il personaggio più straordinario con cui ho avuto il piacere di parlare. E’ il signor Giancarlo Pelosini, quello delle “Amazzoni” alla Ruota della Fortuna (Vinsero le battaglie grazie alla loro f*ga, chi non ha visto quel video?). E il signor Giancarlo mi ha raccontato la storia della sua vita – i lettori più appassionati di Treviso 30 News l’avranno letta l’anno scorso – e mi colpì molto il fatto che fosse stato un donatore, e che tuttora sia iscritto alla sezione locale di Rosignano Solvay, in provincia di Livorno, fin dal 1972. A quel punto mi son detto: OK, appena finisce questa maledetta pandemia vado a donare il sangue!
Voi cari lettori penserete che sia matto, e in effetti è così.
Ognuno di noi ha una sensibilità diversa rispetto ad ogni argomento e agli sti-moli che riceve per prendere una decisione. Nel mio caso, che ci crediate o no, l’incontro – seppur telefonico – col signor Giancarlo mi ha cambiato la vita.
E mi ha dato quella spinta finale a prendere una decisione rimandata per troppo tempo.
Restava da capire come poter fare per donare il sangue.
La sezione locale di Ponzano Veneto, dove abito, organizzava giornate aperte, ma essendo piccola non c’erano appunta-menti fissi e spesso si doveva andare a Treviso in ospedale. Un giorno, navigando su Facebook, ho trovato un annuncio sponsorizzato (sì, funzionano!) inconsueto: l’Avis di Villorba organizzava una giornata di prelievi per valutare l’idoneità di eventuali nuovi donatori. Così ho contattato il numero che ho trovato e subito mi ha risposto Domenico, un ragazzo molto gentile e preciso che mi ha fornito tutte le indicazioni necessarie.
A inizio dicembre dell’anno scorso mi sono presentato alla sede di Villorba per il primo prelievo e sono stato accolto da un’efficientissima batteria di volontari. Devo confessare che mi ha fatto sor-ridere la bonaria – ma risoluta – anamnesi della dottoressa che mi ha visitato, la quale gentilmente mi ha fatto capire che se si decide di fare il donatore non c’è margine per gli sgarri. Né alimentari, né tantomeno extraconiugali.
Dopo circa un mese di attesa è arrivato il referto: sono idoneo alla donazione sia di sangue che di piastrine! Quasi tutti i valori erano nella norma, tranne un paio di asterischi che ho preferito approfondire per sicurezza.
Del resto è uno dei benefici riservati ai donatori: si viene sempre tenuti sotto controllo!
A febbraio ci si è messo di mezzo il Covid, ma a marzo ho potuto fare la mia prima donazione.
E così ho potuto sperimentare nuovamente l’efficienza di uno straordinario gruppo di decine di volontari, che mi ha accompagnato e supportato in ogni passaggio.
Ringraziarli tutti è materialmente impossibile, ma mi sia permesso di citare Antonio che mi è stato vicino durante l’operazione di prelievo.
Quando è arrivato il momento, la paura dell’ago non c’era più: mi sono sdraiato sul lettino e mi sono rilassato mentre la macchina procedeva col prelievo di sangue che ha riempito le provette e le sacche.
Quasi mezzo litro di sangue prelevato in 12 minuti! E il meglio doveva ancora venire.
Dopo il prelievo, c’è la colazione rinforzata.
Si può scegliere tra cornetti alla marmellata, panini con la porchetta o con la soppressa, toast e caffè.
Com’è andata, vi starete chiedendo?
Benissimo. Zero dolore, nessun fastidio, solo una sensazione di felicità indescrivibile per avere fatto qualcosa, nel mio piccolo, per aiutare gli altri.
E non vedo l’ora che passino tre mesi per poter fare una nuova donazione!
di Ubaldo Saini