L’amicizia con Franco Casellato ebbe inizio allo stadio del calcio (poi intitolato ad Omobono Tenni), dove ci si allenava (non graditi) dalle 12,30 alle 15,30 con lo spogliatoio, per noi giovani, sotto la tribuna centrale e tubo d’acqua gelata come doccia. Lui studiava allo “Scientifico” con Tullio Tauro mio compagno ed amico dalle elementari e medie.
I Casellato erano una famiglia di pasticceri importante ed allargata con Cavinato e Biggi al rugby e più negozi in città. Il rugby parcheggiava al Duomo, dove anche Loris il fratello maggiore aveva praticato questo sport e lavorava con capo pasticcere Paolo Pavin rugbysta.
Si viveva a parrocchie allora, io ero da “Madona Granda” e Franco “del Domo”, e la nostra
conoscenza è arrivata col rugby, sport che accomuna e che ha “creato” il terzo tempo. Non ha giocato con me nel Rugby Faema Treviso dello scudetto tricolore 1955/56, ma Franco ha esordito l’anno successivo contro il Petrarca Padova assieme ai giovani Salomone, Gaggion, Paludetto. E così, dopo il mio ritorno da militare nelle FF.OO. Padova, ci incontrammo col nuovo presidente Renato Brisolin dell’Ignis Rugby Treviso. Una felice stagione per il nostro sport, quattro anni stupendi con la squadra considerata “dal gioco più bello”. Si soffriva in mischia e nelle touche, e Franco si staccava per seguire il gioco dell’avversario verso l’ala. “Sta qua” gli gridavo, e lui “el ze Zucheo ch’el me dise de ‘ndar su l’ala”!
So di non essere creduto, ma il rugby è lo sport più avvincente del mondo, ora da “professionisti” un po’ più pericoloso. Assieme abbiamo giocato a Potzan in Polonia con la nazionale B (e ho conosciuto e corrisposto con la bella Elzbieta), assieme agli amici Simonelli e Ricciarelli ed ai compagni Dalla Riva, Gaggion, Giuriati.
Con Franco si andava a Parigi per il torneo del Cinque Nazioni di rugby (non c’era ancora l’Italia) senza soldi in tasca, si arrivava dai cugini Carniato (pardon, Carniatò), che vendevano prodotti alimentari italiani. La zia dava ad ognuno i soldi richiesti, appuntati con una spilla (un tempo d’argento), e noi restituivamo i soldi a Treviso sul sito in banca dei Carniato. Comunque non solo allo stadio si andava, perché Parigi è sempre Parigi, con la dolcezza del pesce crudo ed il Louvre.
Franco partecipava sempre alla gita “dei Giorgio”, infaticabile e bravo narratore di barzellette (le raccontava ridendo!), c’era sempre una novità ma sempre richiedevamo la ripetizione ineguagliabile delle sue battute. Partecipava anche alle cene che facevamo da “Arman” e dalla Rina a Merlengo proprio perché diventava primo attore.
Gestiva la pasticceria di sera in vicolo Broli, dopo la zia, per chiudere a mezzanotte, e noi eravamo là amici sempre motivati. Poi condusse la pasticceria in via Campana sotto la sua abitazione del “portego scuro” dove eravamo ogni domenica a mezzogiorno colla compagnia della pescherìa a bere l’ultimo calice, con le patatine arrostite arrivate da piazza del Duomo. Per una mostra di pittura di Lino Dinetto alla Casa dei Carraresi avevo comperato, trovandomi fuori città, un pacchettino di paste per l’amico artista ed uno più grande per la mia famiglia. Da via Palestro accompagnai Dinetto col giovane figlio da Casellato per un caffè, con i due pacchetti di paste.
C’era il gruppo della domenica con Toni Basso dei formaggi, la Beppa “Muscoeta” cantante, la “bionda” col marito Giuliano, ecc. Così pregai la Ferrua di tenermi il pacchetto, anzi di cominciare a mangiarne, mentre stavo con Dinetto. Successe tutto in un attimo: la “bionda” aveva scartato le
paste rovesciando la carta (si evidenziò così il nome della pasticceria di provenienza!) e togliendo una sfoglia la passò al vicino. Immediato l’intervento da dietro il bancone di Franco che, spostata la Umberta, arrivò dalla Ferrua, strappò la carta che fungeva da involucro e le rovesciò addosso involontariamente (?) tutto il contenuto. Dinetto col figlio se ne andò subito e non vi ritornò mai più. Io affrontai Franco furioso senza riuscire a calmarlo. Una rabbia impensabile, anche per la moglie, del mio “compare” esplosa in quella domenica.
Decidemmo di andare a Parigi con le famiglie anche con Fassa, col Ford Transit dell’amico impresario Camillo Mardegan lavato e ripulito e con tappeti di moquette. Eravamo in sei grandi più cinque figli, super caricati. Un viaggio indimenticabile a piedi per la città, poi per i castelli della Loira fino a Bordeaux dove all’alberghetto di Santin mangiammo finalmente una pasta al ragù, richiesta a gran voce dai nostri ragazzini, e non il “potage”. Poi verso Nizza, dove Franco si spogliò e, rimasto in mutande, si tuffò in mare per una salutare nuotata.
Altro viaggio lo facemmo con Flavo Erri a Parigi, dove non era mai arrivato, e che mise a
disposizione la sua Rolls Roice, appartenuta al tenore Mario Del Monaco. Racconterò in altra occasione questa esperienza vissuta assieme a Flavio, Franco e Tino Busato.
Ci siamo poi incontrati in Nuova Zelanda per il primo campionato del mondo di rugby nel 1987, io con la compagnia del “rovìgoto” Quaglio, Franco con Tino Busato ospiti di Glenn Rich. In un ristorante dove Franco e “Lollo” Levorato intonarono, stonatissimi, la canzone “Volare”, e dove mangiammo carne e pesce assieme (!). Ero fiduciario FIR e lo appoggiai quando mi chiese di poter partecipare in Federazione a Roma. Io non ci sarei mai andato, lui diventò componente della F.I.R. con bravura.
Una delle più belle “escursioni” fu la gita di noi veterani in Argentina per giocare contro due
squadre più giovani di noi. Non si poteva placcare un “vecchio” segnalato con i calzoncini bianchi come li aveva Franco, mediano di mischia, che nella prima touche fu malmenato dagli avversari, ma poi il “nostro” Corrado Possamai imperversò durante tutta la partita. Alla fine gran parte del pubblico corse verso i giocatori a centro campo, un attimo di paura, ma tutti volevano abbracciare quel bravo avversario. Una trasferta “mitica” perché siamo arrivati a Ushuaia, la fine del mondo, attraverso la pampa, dove il pullman slittava sull’acqua gelata, ed al ghiacciaio confinante “perito moreno” dove ci fotografammo. Dovrei scrivere un libro di memorie.
di Giorgio Fantin