“Apprezzare ciò che si ha è dare il giusto valore a ciò di cui si gode”
Parli di Paolo Borin e non sai sotto quale categoria inserirlo. Nato a Casale sul Sile (Tv), 73 anni fa, dove tutt’ora vive e lavora, esordisce come scrittore nel 2017 col romanzo “L’angolo delle portulache”. Ricercatore di memorie storiche familiari, riversa la sua voce nell’inedito, con una storia romanzesca narrata in modo fermo, delicato, avvincente e serrato ma aperta alla riflessione sulla guerra, sulla paura, sull’amore. Ma non solo. Musicista, giornalista, confe-renziere, ha ereditato dal padre l’amore per i cavalli da trotto, diventandone guidatore e ora anche allenatore. In passato ha pure gestito “La Barchessa” discoteca e anche il tennis club dove tutt’ora ricopre l’incarico di presidente.
Musicista, giornalista, scrittore, conferenziere, un grande amore per i cavalli da trotto (guidatore e allenatore), una passione sfrenata per la vita, chi è Paolo Borin?
“Non so se sono uno scrittore. È un momento in cui tutti scrivono. Proprio tutti. Leggere è meno diffuso. Lo stesso accade con la parola. Molti parlano, pochi ascoltano.
La musica mi ha accompagnato sempre, in un modo o nell’altro.
La vita è lì per darti molto. Spetta a te essere pronto a coglierne le cose più belle. Ho sempre inseguito la serenità. Essere contenti, felici penso sia la cosa più importante.
Accontentarsi, che significa apprezzare ciò che si ha, dare il giusto valore a ciò di cui si gode”.
Dal padre ha ereditato la passione per i cavalli, dalla madre il piacere della lettura, e della scrittura. Quanto importanti sono stati i suoi genitori?
“Papà era un musicista, un attore, uomo che sapeva intrattenere. Sempre al centro della scena, divertiva e si divertiva.
Inoltre era bravo a condurre i cavalli, ma aveva un difetto: era iracondo e non sempre sincero. Mamma sapeva essere sensibile e fredda allo stesso modo. Non andammo d’accordo per lunghi periodi ma negli ultimi anni della sua vita, ci ritrovammo ed il suo spegnersi fu quasi dolce. Furono entrambi genitori determinanti, ma forse fu mamma a incidere con maggior vigore sulla mia vita”.
La storia di Tiger Allez ed Alise’ è commovente e l’ha raccontata in un libro. Di cosa parla “L’improbabile gioia”?
“Di cavalli. Sono cresciuto con loro e il loro mondo è cresciuto con me. La storia di Tiger possiede 3 elementi che determinano, il successo, che, con mia sorpresa, “L’improbabile gioia” sta avendo, molto successo anche perché prim di tutto è una storia vera inoltre riguarda un animale stupendo, un cavallo, sopravvissuto ad una sorte cattiva. Infine finisce bene e Dio sa quanto bisogno ci sia in questo nefasto periodo, di storie a lieto fine.
La piccola Alisé è un deciso contributo a questa “perla”, quando parla, di qualsiasi cosa parli, trasmette commozione ed emozione”.
Cosa le piace della vita in campagna?
“Ho viaggiato molto, ma le radici della mia terra mi richiamano. Sempre. La mia campagna è sacra per me. È un posto circondato da un perimetro fatto di alberi autoctoni, tutto biologico, la terra si è arricchita di lombrichi, che la chimica aveva fatto scomparire. Attorno la “proseccofilia selvaggia” io vado controcorrente, ho eliminato le vigne del prosecco e le ho sostituite con noccioleto bio”. Sono matto? Forse sì”.
Qual è il suo rapporto con il mondo della musica?
“La musica mi ha inseguito e si è fatta inseguire. Mio papà era bravissimo violinista e mi insegnò “Granada” in spagnolo, quand’ero piccolissimo. Poi mi metteva sopra un tavolo, in ogni ristorante, e mi diceva: “Adesso canta!” E io cantavo.
Più tardi, a 16 anni, ho cominciato a farlo in un gruppo, con Paolo Steffan e con lui ci siamo ritrovati a 70 anni, e con noi c’etra anche Mauro Bolzan, un amico e bravo musicista e con Tolo Marton, col quale ho suonato per quasi 4 anni. Musica e cavalli. Non saprei fare una graduatoria però il mio vivere avrebbe perso gran parte di significato senza queste due passioni”.
Il suo romanzo d’esordio è stato “L’angolo delle portulache”, come mai ha sentito l’esigenza di scrivere?
“L’angolo delle portulache” è una specie di punto di sostegno di un’attività particolare. Ho trovato in mezzo alla polvere un manoscritto di mia madre, l’ho portato in vacanza e me ne sono innamorato.
Era una storia bellissima, dove l’amore e la guerra si intrecciavano e mi venne la voglia di farne un romanzo. Milleduecento copie vendute solo a Treviso e a quel punto mi convinsi di essere capace di trasmettere emozioni e così iniziai un’attività nuova ed affascinante”.
Recentemente è stato ospite del Panathlon Treviso assieme a Mauro Biasuzzi e ad Alise’.
Il Panathlon ha come mission il diffondere una cultura dello sport e l’etica del Fair play. Quali sono a suo avviso i valori che emergono dal mondo dei cavalli?
“La serata al Panathlon mi ha regalato un’altra inattesa soddisfazione. Per una sera si è parlato di cavalli nel modo giusto. Anche Mauro Biasuzzi, che ha raccolto un’infinita serie di successi nel settore, ha partecipato alla serata, dando il giusto valore a ciò che ha ispirato il mio scrivere: l’amore per l’animale più bello del mondo: il cavallo!”
di Andrea Vidotti