Bottecchia il primo Italiano a vincere 100 anni fa il Tour de France. Nato e sepolto a Colle Umberto

Ottavio Bottecchia è stato il primo ciclista italiano a vincere il Tour de France, nel 1924; nella circostanza portò inoltre la maglia gialla ininterrottamente dalla prima all’ultima tappa.
Successivamente iniziò l’attività di fabbricante di biciclette, utilizzando il proprio cognome come marchio e
dopo la sua morte, l’attività continuò ad espandersi grazie alla famiglia Carnielli, e il marchio Bottecchia divenne progressivamente uno dei più importanti nel settore delle bici da passeggio, da corsa e Mountain bike.

CHI È OTTAVIO BOTTECCHIA
Nato a San Martino in Colle Umberto il 1° agosto 1894 fu il Primo Italiano a vincere il Tour De France nel 1924, indossando la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa. Il Muratore del Friuli, Ottavio Bottecchia, è diventato un mito indiscusso del ciclismo.
Dopo aver lavorato come muratore ed essere stato insignito di una medaglia al valore militare, decide di seguire la sua grande passione e diventare un corridore.
Appassionato alle imprese sportive, soprattutto dei fratelli Pèllissier partecipa alle prime corse per dilettanti vincendo: il Giro del Piave, la Coppa della Vittoria, il Giro del Veneto, la Coppa Gallo, il Giro del Grappa.
Il fatidico incontro con Luigi Ganna, vincitore del primo Giro D’Italia, segnerà la sua carriera e aprirà le porte all’esperienza unica ed indimenticabile del Tour de France.
Ottavio Bottecchia, leggenda italiana del ciclismo internazionale è stato la rivelazione più sensazionale del Tour de France.
Entra nella storia per essere il primo atleta italiano a vincere il Tour de France, indossando la mitica maglia gialla dal primo all’ultimo giorno e difendendola ad ogni tappa.
Taciturno e oscuro, senza conoscere una parola di francese e senza aver mai visto una strada d’oltralpe dimostra di essere un grande campione.
Fin da ragazzo Ottavio partecipava a gare a premio e in una di queste vinse un orologio d’oro per essere arrivato primo. Arruolato allo scoppio della Grande Guerra, fece parte di un corpo speciale: gli “esploratori d’assalto”, equipaggiato di biciclette pieghevoli, dove si distinse per azioni che gli valsero la medaglia di bronzo al valor militare.
Teodoro Carnielli, proprietario di una piccola industria di biciclette e presidente dell’Associazione Sportiva di Vittorio Veneto, fu il primo a regalargli una bici da corsa; ed inviò il futuro campione ai dirigenti dell’Unione Sportiva di Pordenone, dove iniziò a mietere i primi successi.
L’undicesima edizione del Giro d’Italia fu vinta da Costante Girardengo, ma quinto in classifica generale, e, primo in quella degli isolati e degli juniores, c’era Ottavio Bottecchia.
Il Giro quindi gli fruttò la consacrazione della stampa come “miglior uomo in gara”.
Il quinto posto ottenuto da Ottavio Bottecchia all’11° Giro d’Italia, al suo terzo anno tra i professionisti, furono notate da Aldo Borella della casa francese Automoto che gli propose di entrare nella squadra e di correre il Tour de France al fianco dei temibili fratelli Pélissier.
Sin dalla prima tappa apparve chiaro che Ottavio Bottecchia fosse un fuoriclasse unico ed un grande campione: al termine della prima tappa, 381 km da Parigi a Le Havre, Ottavio tagliò il traguardo per secondo su oltre 200 partecipanti.
I tifosi francesi l’hanno adottato, il suo nome è sulle bocche di tutti “Bottescià! Bottescià!“.
Ma la vera sorpresa si rivelò la tappa successiva quando conquistò il primo posto e la prestigiosa maglia gialla.
I giornalisti francesi non mancano di esaltare quotidianamente la rilevazione italiana.
Il primo Tour de France del fuoriclasse italiano, che aveva conquistato il cuore ed il sostegno di tutti gli italiani, si concluse con un fantastico secondo posto alle spalle del capitano della propria squadra, Henri Pelissier.
Nel giugno del 1924, Bottecchia era in piena forma, pedalava senza alcuna fatica su qualsiasi pendenza, il fiato era perfetto, il morale altissimo.
L’atleta rivelazione dell’edizione precedente sorprese tutti i partecipanti, tagliando il traguardo per primo sin dalla prima tappa, conquistando la tanto ambita maillot jaune.
Quell’anno non ci fu gara né storia per alcuno: Bottecchia si mise la maglia gialla alla prima tappa e non se la levò fino a Parigi, incoronandosi campione davanti a Frantz ed instaurando il primato di esser stato il primo atleta ad indossare la maglia gialla del Tour dalla prima all’ultima tappa.
Il 22 luglio la prima pagina della Gazzetta dello Sport titola a lettere cubitali: “Bottecchia vince trionfalmente il Giro di Francia e raggiunge la meta che da 20 anni i più forti routiers italiani perseguivano invano”.
Bottecchia non è solo il primo italiano a vincere la prestigiosa competizione francese, ma anche il primo corridore nella storia del Tour ad aver indossato la maglia gialla dalla prima all’ultima tappa.
Non contento, dopo il trionfo assoluto del 1924, vinse il Tour de France anche l’anno successivo, nel 1925.

LA MORTE
Il 3 giugno 1927 Bottecchia fu trovato a terra agonizzante, in stato di semicoscienza, lungo una strada tra Cornino e Peonis, frazione di Trasaghis, nella zona dove era solito allenarsi. Dopo aver ricevuto l’estrema unzione dal parroco di Peonis, don Dante Nigris, venne ricoverato all’ospedale di Gemona del Friuli, dove gli furono riscontrate fratture alla volta e alla base cranica e alla clavicola destra. Morì dopo dodici giorni, il 15 giugno, senza aver mai ripreso del tutto conoscenza. Il funerale si svolse il 17 giugno a Gemona, con la bara avvolta dal tricolore, scortata dalle guardie municipali e salutata da un’imponente folla.
Tra i colleghi ciclisti, presenziarono alla cerimonia gli amici Alfonso Piccin e Adriano Zanaga e alcuni campioni francesi e belgi giunti dall’estero, tra i quali Henri Pélissier; fece invece notizia l’assenza dei più forti ciclisti italiani del tempo, tra cui Alfredo Binda, Costante Girardengo, Giovanni Brunero e Gaetano Belloni. Dopo il funerale la salma venne traslata nel piccolo cimitero di San Martino di Colle Umberto, luogo di nascita del campione, per l’inumazione. La morte di Bottecchia ebbe, data la fama da lui raggiunta in quegli anni, grande risalto sui giornali italiani e francesi, sportivi e non
Pochi giorni dopo la scomparsa del campione, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport la vedova Caterina affermò di come il marito, in punto di morte, avesse accennato a un «malore», portandola a pensare subito a un incidente in bicicletta. Le indagini ufficiali conclusero per la morte accidentale e questo consentì alla vedova di accedere a un premio assicurativo di 500.000 lire, investiti nell’acquisto di case e terreni.
La tesi dell’incidente verrà confermata anche nell’iscrizione («colpito da letale malore») posta sul monumento eretto dal Comune di Trasaghis in memoria di Bottecchia nel punto in cui il campione fu trovato a terra. Nel 1974, inoltre, il giornalista Giorgio Garatti riportò le dichiarazioni della nipote di Bottecchia, Elena, e dell’infermiera che aveva accompagnato il ciclista agonizzante fino a Gemona, le quali affermarono come, nei rari momenti di lucidità, il ciclista avesse pronunciato più volte la parola «malore».
Intorno alle cause della morte vennero però da subito formulate varie altre ipotesi, dall’omicidio per motivi politici o legato alle scommesse, all’aggressione per futili motivi, sino a una vendetta per motivi sentimentali da parte della famiglia della moglie. L’ipotesi del delitto per motivi politici fu rilanciata in Francia già nel dopoguerra da un articolo del giornalista Albert Londres per il ventennale della morte. La tesi fu ripresa nel 1978 anche dal giornalista Giulio Crosti, il quale poté accertare un’evidente volontà delle autorità dell’epoca di scoraggiare le indagini sul caso, e alcuni anni più tardi anche dallo studioso Enrico Spitaleri, autore nel 1987 e nel 2008 di due libri sul tema
Spitaleri parlò di un’aggressione fascista avvenuta a Cornino, citando l’allora parroco di Peonis, don Dante Nigris, che nel 1973, in punto di morte, aveva rivelato al suo successore di come Bottecchia avesse avuto la peggio in una rissa scoppiata «per i suoi ideali antifascisti».
A parziale sostegno di tale ipotesi resta il fatto che al funerale di Bottecchia mancarono i grandi campioni italiani dell’epoca, tanto che il giornalista Gianni Mura anni dopo commentò: «Per i nostri, forse, era un morto scomodo».
Altri autori, come Elio Bartolini e Paolo Facchinetti, conclusero invece come, alla luce degli elementi disponibili, nessuna versione potesse ricevere maggior credito.
Supposizioni di vario tipo, anch’esse non confermate, si susseguirono per decenni. Vent’anni dopo i fatti di Peonis, un contadino friulano, emigrato in Francia e ormai in punto di morte, sostenne di aver picchiato a morte Bottecchia con un bastone perché gli stava rubando dell’uva (altre versioni parlarono di un sasso e di ciliegie, o di fichi). Il fatto fu confermato da un compagno di squadra.
Pochi anni dopo un emigrante italiano negli Stati Uniti, tal Berto Olinas, raccontò, anch’egli sul letto di morte, di aver ucciso su commissione mafiosa sia Ottavio Bottecchia sia il fratello Giovanni, morto poco tempo prima (era stato investito da un’automobile il 23 maggio 1927), per motivi legati al racket delle scommesse. Alla storia di Ottavio Bottecchia e alla sua misteriosa morte è stata dedicata una puntata de La storia in Giallo, programma radiofonico ideato e condotto da Antonella Ferrera e trasmesso il 7 dicembre 2005 da Rai Radio 3. Al mistero della sua morte fu dedicato il documentario di Gloria De Antoni Bottecchia, l’ultima pedalata, prodotto dalla Cineteca del Friuli, girato tra Friuli e Veneto nel luglio 2007, in occasione dell’80º anniversario della morte di Ottavio Bottecchia, e trasmesso nel 2008 su RaiSportPiù e su RaiDue.

ATTIVITÀ IMPRENDITORIALE
Nel 1926, in collaborazione con Teodoro Carnielli, Bottecchia iniziò l’attività di fabbricante di biciclette, utilizzando il proprio cognome come marchio. Dopo la sua morte, l’attività continuò ad espandersi grazie alla famiglia Carnielli, e il marchio Bottecchia divenne progressivamente uno dei più importanti nel settore delle bici da passeggio, mountain bike e da corsa

di Giampaolo Zorzo