Ricordo e mi ha fatto sorridere la prima telefonata che ho fatto a Bruno per capire sua disponibilità per una intervista, dove lui mi rispose: “Devi venire qui da me, perché solo così potrai percepire, sentire, vedere, annusare, ascoltare tutte le energie che liberamente fluttuano all’interno del mio atelier”.
Lì per lì ho pensato: “Questo è andato matto” ed invece nel giorno dell’incontro mi ritrovai in un luogo travolgente, trascinante, indefinito ma definito, indescrivibile ma descrivibile, un’atmosfera surreale che sfiora l’onirico e tocca il sacro, ubi l’aria in alcuni punti si satura di profumi indefinibili ma riconoscibili, un contenitore di semplicità e sacralità, una profonda connessione tra l’umanità e il sacro, tra il costruito e il naturale, tra il visibile ed invisibile e proprio in questi intrecci e mescolanze di giochi d’opposti l’artista Bruno Norbu Griparich materializza i suoi pensieri in vere e proprie opere d’arte calligrafiche.
Architetto dolcemente sovversivo, pittore inusuale e uno dei migliori calligrafi al mondo, le sue opere affascinano per l’immensa quantità di informazioni che trasmettono, veicolate da simbologie, colori, calligrafie e strutture architettoniche di cui non cogliamo lo specifico significato ma comprendiamo l’esistenza del mistero al quale, come un’offerta, tendono.
E’ un lavoro, quello di Bruno, costante, perseverante e resiliente, di ricerca, studio, assimilazione e di distillazione, verosimilmente una interpretazione dell’arte sacra, in armoniosi sincretismi tra elementi diversi nella loro essenza ma così prossimi. Una presenza costante dell’oro, della calligrafia che diviene sigillo, delle ripetizioni di neumi puntellanti le sue opere come una litania; tutti elementi che permettono la costruzione di un oggetto devozionale, il quale, già intriso di sostanze significanti quali lacche, resine, colori diviene il veicolo tra uomo e Cielo.
Mi trovo difronte ad un artista che agisce come un medium e come uno sciamano.
Quale buona stella ti ha condotto in terra e soprattutto in terra veneta, visto il tuo cognome quasi impronunciabile?
“Restando al piano terreno, i miei genitori sono istriani e così anche tutti i miei antenati; se però andiamo indietro di generazioni i miei avi hanno viaggiato grazie alla Repubblica Veneta e vengono sicuramente da terre più lontane di queste ovvero dagli estremi della venezialità probabilmente dal caucaso forse addirittura oltre. Queste sono memorie che aveva mio nonno ed io le ho riscoperte perché lavorando nel tema del sacro, dell’anima e della calligrafia ho molti riferimenti con queste terre apparentemente lontane ma molto prossime”.
Hai difficoltà nell’identificare il tuo luogo di nascita riportato all’anagrafe, ovvero darti una connotazione e collocazione precisa, probabilmente perché ti senti figlio del mondo. Tuttavia affermi che ti senti anche veneto, pertanto gli astri e le costellazioni in che punto erano dello zodiaco il giorno della tua nascita?
“Sono nato a Bassano del Grappa nel 1956 però è come se dentro a quell’impronta di nascita ci siano altri segni, altri sigilli di altre epoche e di altri luoghi del mondo soprattutto dell’Euroasia, la parte centrale caucasica, quella delle steppe facente parte la Mongolia”.
I tuoi genitori sono istriani, precisamente da quale città arrivano?
“Mio padre da Parenzo in Istria e mia madre da Petrovia di Umago, un paesino di poche anime, pensa che dalla finestra del piano superiore della casa si vedeva il mare.
Mio padre è stato in Germania e lavorava gratuitamente per i tedeschi in quanto era prigioniero di guerra e mia madre è fuggita prima in campo profughi a Trieste e poi in Puglia.
Lei era appassionata della natura nella sua totalità, ossia di piante e vegetali, quindi era una botanica per diletto, tuttavia è rimasta in casa per seguire il marito e accudire i figli; si è dedicata incondizionatamente alla famiglia.
Mio padre invece dopo il rientro dalla prigionia è andato a studiare a Padova e a laurearsi a Modena in matematica e chimica, infatti è stato insegnante in vari istituti e licei del veneto.
Tra l’altro in casa veniva parlato il tedesco quindi rimanevano delle comunicazioni segrete fra mio padre e mia madre in quanto io e mia sorella non capivamo il tedesco, non lo capivano neanche i miei nonni nonostante lo avessero sentito per molto tempo; non hanno avuto il tempo di impararlo in quanto mio nonno è nato sotto l’impero austroungarico, cioè sotto un’altra bandiera e i miei genitori sono nati sotto la bandiera dell’Italia che a quel tempo era di Mussolini.
Dopo tutte queste mescolanze e flussi etnici derivanti dai miei antenati, non riesco a parlare tutte queste lingue ma le sonorità mi sono arrivate, riconosco l’origine, se uno mi parla in un certo modo riconosco da dove viene e non credo di sbagliarmi perché a forza di capire che quelle frequenze arrivano da là e non dall’altra parte, posso identificarle con molta semplicità”.
Bruno, che bambino sei stato?
“Per molti anni sono stato per conto mio, in una specie di “isola” quasi costruita. Ero un bambino riservato, schivo, timido, solitario, quasi intimorito da tutto ciò che mi circondava. Avevo sei, sette anni all’incirca che ho iniziato a tracciare i primi segni, le prime grafie; rimembro con una filigrana di sorriso e malinconia che nella mia solitudine scrivevo su di un suolo di cemento all’aperto con dei pennelli che imbevevo nell’acqua, quello era il mio colore preferito anzi non ne avevo altri e non erano lettere del nostro alfabeto, tutt’altro, erano dei pittogrammi e ideogrammi.
Questi segni hanno dimorato negli anni dentro di me e li riportavo sui quaderni di carta con calamaio e pennini, a china nera, tutto materiale di mio padre che conservava dai tempi della scuola”.
Cosa pensavano i tuoi genitori del tuo isolamento e dei tuoi segni?
“Sicuramente erano molto preoccupati di questo ma al contempo venivano confortati dal pensiero di avere ricevuto un dono dal cielo; “chissà questo figlio è arrivato e ha questa particolare inclinazione-declinazione, comportamento, chissà cosa vuole dire”.
Tant’è che per un certo periodo hanno cercato di depistare il mio fare sebbene a un certo punto hanno lasciato scorrere tutte le cose perché han detto che non era possibile correggere certe predisposizioni che sono insite dentro l’anima e che si devono per forza compiere perchè quella è la via giusta.
I miei genitori erano due anime piuttosto evolute, capivano ed erano appassionati di una miriade di cose, infatti spaziavano dalla musica all’arte, leggevano molto, mia madre soprattutto leggeva moltissimo; avevo dei genitori sopra la media.
Poi però le cose hanno iniziato a prendere una forma diversa perché divenni più grande e accolsi anche le frequenze di chi mi stava intorno ed iniziai a comunicare con il mondo, non ero più isolato dopo che ho iniziato la scuola media e superiore.
Pensa che ho frequentato un istituto tecnico commerciale, una scelta indotta da mio padre perché conosceva degli insegnanti validi in quell’istituto e mi diceva che era importante che ci fossero delle anime che trasmettessero più che il contenuto in sè della materia.
Dopo le scuole superiori mi sono iscritto all’Università di Architettura a Venezia e seppur seguivo corsi e sostenevo esami, non riuscivo a trovare un senso nel fare architettura. Seguendo tuttavia i consigli delle persone a me vicine e la mia intuizione, mi sono avvicinato a quei testi d’esperienza umana che mi legavano in qualche maniera al mio “far arte” e precisamente all’architettura dell’arte.
Da lì, accompagnato da una certa fortuna, sono arrivato a conoscere un grande maestro ovvero Pyare Lal Bedi, conosciuto come Baba Bedi XVI, che mi piaceva molto a tal punto che ho iniziato con lui una vera collaborazione nel dominio dell’architettura e che mi ha condotto a presentare una prima tesi di laurea allo IUAV di Venezia nel 1981 sui “campi magnetici in architettura”.
A seguito della mia laurea ho iniziato ad insegnare a scuola continuando con pittura e calligrafia.
Il primo viaggio che ti ha portato fuori dalla nazione, qual è stato?
“Quello con i miei genitori perché la mia famiglia aveva la fortuna e il pallino di girare fuori, quindi gli stati prossimi quelli europei, la Francia, l’Austria, la Svizzera, la Germania, l’Olanda, l’Inghilterra, proprio quelle vacanze fatte con auto e roulotte, con la tenda in montagna sulle Alpi austriache.
I primi viaggi in autonomia invece li ho sostenuti durante il periodo universitario in cui cominciavo veramente ad andar fuori dall’Italia da solo. Infatti tra l’anno 1988-1989 sono stato in Turchia, essendo essa parte del mondo ottomano, del mondo mistico e del collegamento con l’euroasia, quindi un legame imponente della scrittura e dell’arte. In Turchia ho trovato un mondo prossimo al mio, in alcuni momenti mi sono sentito parte di quel mondo nonostante io non sia turco, non conosco la cultura turca se non pochi elementi , non li ho studiati; i miei sono studi di cose che mi arrivano anche dal mondo turco iraniano ma soprattutto dall’Asia centrale, quindi da quel mondo che è stato investito di più fedi, di più pensieri; quest’ultima infatti ha avuto l’animismo, lo sciamanesimo, da un’altra parte l’islamismo, il buddismo, l’induismo e un po’del cristianesimo; questo mondo qui l’ho sempre sentito presente”.
Quindi non hai un dogma?
“Nessun dogma tanto che nel 2000 abbiamo iniziato ad immaginare una missione in Mongolia e nel 2004 l’abbiamo realizzata. La Mongolia è una presenza costante nel mio lavoro. Ho sostato in quel luogo per un mese precisamente nel luglio del 2004 e grazie all’azione congiunta di più anime che mi hanno aiutato ad entrare in questo mondo qui, compresi gli amici che sono diventati fratelli , sono riuscito a fare degli anelli nomatici ovvero dei tour, delle visite che non erano visite al museo, bensì erano visite dei luoghi santi loro; tant’è vero che abbiamo avuto un LAM HIG , sarebbe un lascia passare, per alcune parti dell’estremo nord ovest della Mongolia nella terra dei casachi, e in questi luoghi abbiamo visitato gli antichi curcan ovvero luoghi di sepoltura dove ci sono gli antenati ed io lì stavo benissimo perché quei luoghi dedicati alla morte sono invece dedicati ai vivi e sono vivissimi, ovvero fontane che invece di buttar fuori acqua buttano fuori il legame con chi è passato prima; quindi lì i morti ti parlano perché sono in qualche forma viventi”.
Sei di fatto riconosciuto come uno dei migliori calligrafi, anche dai maestri orientali. Quali sono i tuoi legami con l’Asia centrale?
“Non saprei se sono tra i migliori calligrafi, questo sentimento non mi appartiene, quantunque in quella parte dell’Asia centrale essere riconosciuto da calligrafi della Mongolia significa che ti scrivono in calligrafia il titolo su carta con il tuo nome “TU APPARTIENI ALLA TERRA BLU DEL CIELO” ovvero tu appartieni alla loro terra: la Mongolia.
Sono davvero riconoscente e reverente a quel Popolo ma anche a tante altre anime che mi hanno permesso di viaggiare”.
Qual è stata la prima mostra che hai realizzato?
“Credo avessi quattordici-quindici anni a Caorle, in un locale legato ad un campeggio.
Negli anni universitari invece l’esperienza della Biennale di Venezia del 1976 (prima biennale di architettura) avvenuta all’inizio dell’iter degli studi, nell’ambito di un corso di scenografia allo IUAV e proprio questa esperienza mi ha portato a conoscere Carlo Scarpa, Emilio Vedova e Giuseppe Samonà.
Da lì ho iniziato poi ad esporre in vari luoghi compresi luoghi deputati dalla cultura cioè gallerie d’arte, edifici storici di cui Siena Milano Venezia….
Un’altra incantevole esperienza che mi ha segnato molto nel mio profondo intimo e perché ho trascorso molti anni della mia vita è stata la Francia, infatti ho vissuto in quel luogo per diciotto anni, presso il Monastero Padre, fondato da San Bruno, fondatore dei certosini; non ho preso gli ordini nonostante avessi fatto una vita monastica, infatti per un certo tempo mi sono anche isolato e poi ho riaperto i contatti perché in alcuni mesi lavoravo nel silenzio e poi per un paio di mesi andavo via e realizzavo delle esposizioni con dei laboratori”.
di Federica Gabrieli