Un giovane artista veneto, pittore, scultore e viaggiatore; un mix di talento, audacia e ricerca un’adolescenza altalenante tra una dolce e graziosa timidezza che regnava sui banchi di scuola e una solleticante inquietudine dentro i muri di casa ovvero una mescolanza di sentimenti tra il suo intimo ribelle ed la sua epidermide di bambino modello tranquillo e silenzioso, ma dove i contrasti trovavano sempre il modo di completarsi. Con questo gioco d’opposti Davide dava sfogo riproducendo i suoi stati d’animo con disegni, modellazioni e sculture fin da piccolo.
Una curiosità imperante verso la vita, una ricerca costante, un’affascinazione e uno stupore verso tutte le cose che lo circondavano; perlopiù nutrito da un desiderio persistente di conoscenza, esplorazione e interpretazione attraverso una rappresentazione fedele ma anche ad una re-interpretazione, frutto di una notevole introspezione che lo ha contraddistinto negli anni.
Ha avuto le idee chiare fin da piccolo, infatti ha perseguito il percorso scolastico superiore frequentando il Liceo Artistico di Treviso, dove ha avuto la possibilità di frequentare lezioni con il maestro disegnatore e pittore trevigiano Francesco Michielin.
Da lì prolungò la sua curiosità e conoscenza frequentando l’Accademia di Belle Arti a Venezia, diplomandosi con il massimo dei voti.
Davide, hai ricordi della tua prima raffigurazione e che hai conservato negli anni?
“Mi ricordo che quando avevo sei sette anni, la prima scultura che ho creato era il volto di una volpe, che già avevo intravisto all’interno di una radice di un gelso intagliato scolpendolo con un cacciavite, l’unico arnese che avevo a disposizione, fortuna che era un legno consunto, vecchio e non particolarmente duro e quindi il mio scalpello ha funzionato; poi ho passato la carta vetrata e ne è uscita una volpe stilizzata di quaranta centimetri di altezza; tant’è che rivedendola si capisce che c’era già una forza in me che voleva esprimersi, una sorta di anticipazione di quello che sarei diventato”.
Da questa tua prima scultura che con l’uso stravagante ed inusuale del cacciavite sei andato a creare, cosa ha suscitato in te, nel senso di consapevolezza?
“E’ stato un grande messaggio perché al di là dei materiali che potevo disporre, ho compreso che, se c’è una forza e una volontà, arrivi sempre ad una espressione riuscita ed interessante.
Ricordo anche di avere sempre avuto le idee chiare perché fin da piccolo avevo intenzione di frequentare il Liceo Artistico e mi ero prefissato di studiare prima la pittura, approfondendo la bidimensionalità che è un mondo stimolante, attraente, stuzzicante e successivamente riprendere la scultura e quindi la tridimensionalità; questo perché c’è una difficoltà di percezione molto diversa tra le due dimensioni, tant’è che a volte ci sono pittori o scultori ma raramente entrambi, per me far interagire le due cose aveva e ha un fascino estremo e infatti mi ritrovo in ambedue le situazioni ovvero pittore e scultore e forse anche di più.
Tornando ai tempi di quando eri piccolo e quindi nella dimensione scolastica pubblica, come si è evoluto il tuo percorso?
“I primi due anni del Liceo ero ancora più riservato perché avevo situazioni famigliari complesse ma dalla terza superiore in poi avvenne la svolta, legata anche alla prima ragazzina quindi un sentimento d’amore travolgente, impetuoso, trascinante ed anche squassante che mi ha portato ad essere il Davide artista anche a scuola e da lì iniziai a divertirmi anche fuori casa.
Ricordo un disegno di un presepe un po’ dissacrante con dimensioni importanti circa un quattro per cinque metri, utilizzando una pittura molto scura, dove ho riportato le mie emozioni più profonde del momento”.
Hai ricordi di un viaggio necessario al tuo arricchimento artistico in un certo momento del tuo percorso scolastico e che ti ha particolarmente segnato?
“Assolutamente si, proprio in funzione del percorso che sarei andato a intraprendere all’Università.
Desideravo che la mia fosse una preparazione già alternativa esterna di esplorazione artistica in varie parti e anche in varie situazioni, conoscendo vari tipi di persone e sostenendo vari viaggi; uno in particolare, avevo all’incirca diciassette diciotto anni, con partenza Treviso e destinazione Puglia, in bici.
Come ti ho anticipato avevo deciso quel viaggio per una ricerca spirituale, avevo il desiderio di esplorare, guardare, sentire (sentimenti molto difficili da spiegare e riprodurli nell’arte) e quindi ad un certo punto mi sono chiesto: “L’arte cos’è? L’arte è vita? E’ ricerca del sé? Tutto è arte, niente è arte?” Con questo spirito ho nutrito l’esigenza di mettere in gioco la mia spiritualità nelle relazioni, soprattutto con il territorio sconosciuto, quindi con tutte le condizioni che possono metterti fuori dalla zona comfort e che possono portarti ad esprimere parti di te che nella nostra quotidianità non possono emergere.
Con un bagaglio di letture che spaziavano da: Into The Wild, al Il lupo e il filosofo, a L’arte di amare di Fromm, ecco con queste frequenze decisi di partire per andare a trovare un amico in Puglia con la bici di mia madre, molto datata, arrugginita e sgangherata in molti punti, però aveva il cestino; ho preparato uno zainetto con sacco a pelo, un pantalone corto ed uno lungo, un maglione e una t-shirt.
Tant‘è che all’ultimo momento un amico di mio fratello che alloggiava temporaneamente nella nostra casa, mi ha chiesto di aggregarsi a me“.
Siamo partiti senza telefono e con cinque euro in tasca che tra l’altro non abbiamo mai utilizzato.
Abbiamo iniziato a pedalare, passando per Ferrara e facendo una deviazione a destra sugli Appennini, addentrandoci in quei luoghi misteriosi e pieni di insidie, visitando anche quelle comunità alternative che nel corso degli anni 70’ si sono formate e costituite come autonome.
Abbiamo trascorso un po’ di giorni nella comunità degli Elfi (tra Bologna e Prato) per conoscere le persone e indagare noi stessi.
Ricordo dei miei risvegli mattinieri in quel luogo con linguate d’asino sul volto, perché si dormiva all’aperto, meraviglioso se ci penso quasi surreale.
Durante il giorno ci nutrivamo di cachi che trovavamo sul nostro percorso e la sera rose canine ed erba cipollina del bosco.
Durante la notte ci accampavamo tra letti di fiumi in secca o in mezzo ad amassi di foglie del bosco, cullati da fischi di camosci, lo scrocchio dei caprioli, il grugnito dei cinghiali, mululati dei lupi, quindi stavamo esplorando un mondo completamente diverso da noi e che ci stupiva moltissimo.
Vagabondavamo in mezzo a tonalità di rocce incantevoli, con insenature che sembravano opere d’arte talmente madre Natura si è adoperata negli anni.
Tuttavia ad un certo punto del viaggio e con uno scarso nutrimento abbiamo capito che necessitavamo di carboidrati; cercavamo di nutrirci con la meditazione, hippismo al massimo, ma non bastava, tant’è che abbiamo incontrato personaggi uno più stravagante dell’altro che ci hanno svoltato il sistema di approvvigionamento del cibo ovvero andando dietro ai supermercati dove si potevano trovare tutti quei prodotti che erano a scadenza. Allora avevamo capito anche come fare la spesa gratis.
Procedendo nel viaggio, siamo stati a visitare città come Firenze, Prato, Pistoia ecc.
Ad un certo punto io e il mio amico presi un po’ dallo sconforto ma confortati allo stesso tempo da quello che avevamo visto, sentito e conosciuto, abbiamo deciso all’altezza di Rimini di rientrare a Treviso, ripassando anche da qualcuno che avevamo conosciuto durante il percorso.
Hai ricordi particolari durante la tua frequentazione universitaria?
I ritmi dell’Università erano importanti e veloci perché dovevi fare molta pratica e seguire molti corsi con accavallamenti di corsi e di esami con tempistiche toste da sostenere, avendo comunque un certo margine di libertà, di gestione dei tuoi tempi e in parte degli spazi e delle tue esplorazioni, sempre in condivisione con il tutor.
La cosa bella dei miei anni universitari è che abbiamo cambiato spesso professori soprattutto di indirizzo e quindi è stata una serie di annate dove abbiamo conosciuto un sacco di artisti con cui sono ancora in contatto e che stimo: Ettore Greco, Aron Demetz, Calò.
Con loro impari proprio a condividere un percorso, perché devi entrare in empatia con loro che ti indicano una direzione, è un continuo dialogo, un continuo mettersi in discussione, impari ad accettare delle sconfitte, impari a rivendicare certi tuoi diritti, è un percorso dialettico accrescitivo e questa è una esperienza molto bella, poi dipende sempre che tipo di approccio vuoi avere, che tipo di apertura dai, quanto sei disposto ad accogliere. Ad esempio ho sempre interpretato l’accademia come una occasione dove la potessi utilizzare per assorbire il massimo possibile, anche da mondi più lontani come il teorico; il vero sentimento che mi fa vibrare è il fare arte e quindi si sostengono esami di psicologia della forma, indagini, ricerche storiche da un punto di vista teorico.
Abbiamo anche approcciato il restauro e visitato Venezia in tutti gli angoli, un bagaglio molto importante.
Tutti i tasselli che sono fondamentali e che sono anche più importanti di quello che ti sembra nel momento in cui li vivi. Anche il limite della persona o della cosa è una informazione gigantesca per il tuo bagaglio personale perchè ti sta insegnando anche attraverso un limite.
Mi piace la sfida ma intesa come approfondimento della bellezza non tanto come competizione”.
C’è un materiale particolare che lo senti più affine a te?
Le basi sono iniziate dall’argilla ed essa ha un sacco di tipologie; ci può essere quella rossa, quella più granulosa, quindi può essere utilizzata in mille modi diversi ed è il primo step che ho conosciuto. Lavorare con l’argilla è stato molto bello perché lavori per addizione ovvero stai modellando per aggiunta di materiali e un po’ alla volta inizi a calibrare e modellare e se hai letto la Bibbia ti tornano in mente certi passi dove si dice che l’uomo fu creato dal fango; in pratica stai modellando il tuo carattere e la tua sensibilità, sei l’autocreatore di te stesso in modo manifesto, il fare arte diventa una metafora per uno sviluppo ulteriore di te.
Poi c’è stato il gesso ovvero il mondo dei calchi; questo materiale può essere utilizzato invece per sottrazione cioè partendo da un blocco togliendo oppure anche per aggiunta e quindi addizionando; qui c’è un tempo di posa e lavorazione molto differente da quello dell’argilla perché è un materiale completamente diverso anche se più o meno come sistema di addizione può esserci qualche somiglianza.
C’è da dire che il gesso lo puoi far dialogare con le iuta e con tantissimi altri materiali, colle resine creando dei connubi tra materiali; lo stesso gesso lavora come calco come l’argilla; l’argilla poi ha la sua equivalenza artificiale nella plastilina ad esempio la Tina Anselmi, l’originale l’ho realizzato in plastilina, dopo di chè ho fatto dei calchi e trasposto in resina.
Poi c’è il mondo delle resine, del legno insomma tutto si può adoperare nella modellazione e noi possiamo altrettanto modellarci con i nostri limiti non limiti.
Ti sei adoperato negli anni in varie situazioni artistiche, anche commissionate dall’esterno. Dove hai ricevuto nobili riconoscimenti e premi, ne puoi nominare alcuni?
“Il BUCINTORO VENEZIANO SETTECENTESCO: una ricostruzione fedele in scala 1:25, avvenuta nell’arco di tre anni; riuscendo a realizzare la scultorea complessità di quest’opera che è una fondamentale e importante memoria storica proprio perché l’autentico esemplare fu dato alle fiamme per ordine di Napoleone Bonaparte nel 1798.
E’ stata un’idea di Historya che è l’azienda di restauri di Ivan Ceschin.
Il BUSTO DE LA MARIENNE DE SAINT PANCRACE, un ritratto su pietra in Francia. Infatti la località ha voluto darsi lustro commissionando precise sculture in grado di evidenziare le proprietà della pietra locale.
LA VITA DI TINA ANSELMI: un concorso per fare un omaggio alla Persona, alla politica e alla prima Donna Ministro eseguendo un prototipo in scala con una progettazione del monumento pubblico dedicato appunto a Tina Anselmi nella città di Castelfranco Veneto, presentato alla mostra “La vita di Tina” e classificandomi 2°.
L’opera è piaciuta molto ed è stata apprezzata dal Direttore Generale del FAI CISL Onofrio Rota a tal punto che la scultura l’ha portata a Roma presso la sua sede operativa.
Mi sono arrivate negli anni commissioni di sculture uniche e di grandi dimensioni, utilizzate per scenografie di spettacoli itineranti o statici nei teatri ad esempio per la Fenice, Goldoni a Venezia e per privati. Ad oggi tuttavia mi adopero anche su progetti scultorei volti ad una trasmutazione della forma di materiali desueti e sconfitti dal consumismo e dal progresso, così che la nuova forma conferisca loro una nuova essenza ed esistenza”.
di Federica Gabrieli