Tornai a casa nel 1959, dopo il “servizio” militare di puro rugby a Padova con le Fiamme Oro, e Zucchello mi presentò il nuovo presidente Renato Brisolin sponsor la ditta milanese Ignis, con bottega di elettrodomestici in piazza “Hesperia”. Il passo verso la piazza fu breve, perché in vicolo Broli c’era la pasticceria Casellato e di sera eravamo da Franco fino a notte inoltrata. Ma c’era anche il bar K.O, di Gino Giudici con la sottostante palestra in piazza Indipendenza, confinando col negozio di scarpe di lusso di Borra. Siamo così diventati i “piassarotti” segnalati in Questura “nottambuli non molesti”.
Sotto la loggia c’era il Caffè Beltrame con Bruno Pizzolato dietro il bancone assieme al giovane Paolo Camatta. Una volta, quando avvicinai la mano per un pezzo di cotica della porchetta ancora calda, arrostita in Calmaggiore dove Alfredo abitava con il fratello Lovenio e la moglie, mi diede una coltellata che mi sfregiò superficialmente il palmo della mano. Non passavano bambini sotto la loggia, e pure il transito di altre persone era sempre all’esterno del plateatico occupato da sedie e tavolini. Ricordo soltanto una sola volta che papà mi portò sotto la loggia ordinando un’aranciata per me e per lui uno spritz col Campari che il cameriere Nino Valente, dai piedi piatti, glielo servì stappando il bitter e versandoglielo nel bicchiere, aggiungendo col sifone una spruzzata d’acqua già sui cubetti di ghiaccio col vino bianco.
Altri camerieri del caffè erano Ruggero Benvenuti e Neno Abiti, e là vicino c’era “Ciccio” Vanin coi compagni della cooperativa del bar “Biffi” dai morbidi tramezzini. I due locali si condividevano i soliti avventori, da Giovanni Borra con Caner impresario a Tullio Ortica “spuaceti”, Romeo Dotto “epigrafe” tipografo, Toe con le sue mostre di quadri (ci sono ancora le catenelle), Mario Baietto, Nisio Zangrando, noi del rugby, “Ciccio” Borsato sarto, Bepi Stradiotto il “rizzaiolo”, l’amico Loris Rossi, “Checa” Busato, Ganassi, Alfredo Beltrame, e anche la bella signora Giovanna Vianello Astolfi. Della piazza era anche Piero Polisseni, che Sandor Peron, uno di noi, accompagnò all’aeroporto di Venezia assieme alla nostra amica Anita, con la Peugeot dell’interessato. Poi Sandor venne a Jesolo dove noi eravamo in un alloggio affittato tutto l’anno.
Ma nel ritorno a Treviso la vettura si fermò, senza benzina! Trovò nella bagagliera una bottiglia piena ma era d’acqua. Mi telefonò, e colla mia Peugeot trascinai l’auto al distributore più vicino.
Questo era il ricco avaro della piazza! Ma sotto la loggia arrivavano dal Montello con le violette la Giulia e la Carolina con la Palmira, e la Bepina che è ancora presente sul sottoportico da Coin. La loggia era permessa (!) anche a Nane Casadoro dei “bogoi”, e veniva offerto un bicchiere di vino ad Alessio Capello che disegnava a gesso “Madonne” sulla piazzetta della Cassa di Risparmio (poi denominata Aldo Moro). Oltre la loggia sul porticato di fronte c’era il bar pasticceria di Nino Bosio (con la sorella), che noi stuzzicavamo per la sua indole, spesso e volentieri, tanto che una sera ci invitò sulla terrazza per vedere il bellissimo panorama notturno e poi in camera si sfilò i pantaloni, dicendo “anca mi son un omo”, e ci facemmo una grande risata. Eravamo quattro amici (Sandor, “Cocco”, “Neni”, ed io), poi “Ceca” e Bizzotto e “Cicin”. Dalla nostra “postazione” sotto la loggia dei “Trecento”, ci si muoveva verso la “Standa” per salutare la Beppa (da poco mancata) al negozio di vestiario femminile con Graziella splendida ragazza, ma anche verso la pellicceria Bin perché la bella commessa da Quinto ci dava fiducia.
Al bar “Biffi” arrivava Beppo Maffioli indaffarato ad ingoiare 10-12 qualità: i soffici tramezzini, ma ad uno ad uno, ed anche Bepi Mazzotti non era da meno se l’ho visto “sbranare” cinque panini imbottiti. Era la loggia della vita.
Nella grande piazza splendeva il caffè “Roma” con orchestrina serale, (poi “Loggia” ora “da Pino”), l’adiacente “Astrabar” ora “Soffioni” e col vicino “Cristallo” ora “Signori & Signore” dalla parte della Prefettura. Sul retro della loggia c’era la drogheria “Perissinotto”, e poco più in là nella piazzetta dei “cunici” (dove abitava la Giuliana Dal Bo inflessibile all’Ufficio tecnico del Comune) aveva banco la fruttivendola Maria Cunegonda “Tita” Favrin ved. Toni Gambarotto, e sulla via san Vito davanti alle “sette vedove” (l’orinatoio comunale), Giorgio Fanti col papà Sisilio era l’alimentarista dei signori della piazza e della città
Con noi sotto la loggia “viveva” Leone Righetto dal naso “schisso”, grande amico del nostro presidente Brisolin che aveva bottega del cuoio in piazza “del grano”. Di bianco vestito, una domenica sul motoscafo a Jesolo gli portai dalla spiaggia un gommone, ma tirandolo giù cadde in acqua. Mugugnò tutta la giornata, a Burano dopo aver cenato nel ristorante “da Romano” a mezzanotte facemmo pace ritardando l’avvio del motoscafo di Brisolin che partì, lasciando Righetto col bianco asciugato vestito ed io in costume a petto nudo con le infradito!
Prendemmo prima dell’una il vaporetto che rientrava vuoto in parcheggio a Venezia, ci portammo in piazzale Roma ma l’ultima filovia stava andandosene.
Senza soldi, salimmo in un taxi fino in piazza “dea Teresona”.
Era ancora aperto il bar K.O., Leone si fece dare duemila lire da Gino Giudici, pagò il tassista. Si presentò alle 8 del mattino da Brisolin, lo svegliò urlando, gli mandò le sue maledizioni, incassando il costo del taxi.
Questa era la nostra vita a vent’anni.
Leone Righetto, sempre con noi, si ritrovò incastrato su un balcone, fortunatamente a piano terra, per la baruffa avvenuta al “Tegorzo”, vicino al Quero, fra i rugbysti trevigiani e alcuni avventori padovani. Se le diedero di santa ragione, forti con Sandor e il cugino “Pancio” Perini, con strascichi alla “Falconera” da Celeste vent’anni dopo.
Era il 1956 e il Faema Rugby Treviso vinse il primo titolo italiano con l’ultima vittoria a Rovigo. E andammo in piazza al bar “da Mascherino” adiacente alla pasticceria Bosio urlando la nostra gioia.
Ci presero per ubriachi (!) e ritornai a casa piangendo. Anche “All’Oca Bianca” era un nostro ritrovo, noi Sandor, “Pancio”, “Neni”, il “Cocco” ed io con Brisolin che pagava sempre, ed in fondo c’era Alfredo Beltrame assieme a Comisso ed il suo “citaredo”, ma era la Nerina che ci coccolava e che mi accolse per un periodo quando lasciai la casa paterna.
La loggia dei Trecento con la piazza è stata il luogo dell’attività sociale e produttiva di gestori e/o proprietari omosessuali tendenzialmente di qualità raffinata. Sono buon testimone, infine, della vera storia di “Signori e Signore”, il film che doveva documentare l’eccesso degli abusi compiuti dai signori della loggia trevigiana alla ragazzina di Casale sul Sile. Ero al “Caffè Beltrame” quando ho sentito che la moglie di (!), uno degli otto personaggi indagati, andata a trovar il marito dentro il carcere di santa Bona, aveva scoperto nella stessa cella l’amante, e gli aveva gridato “anca ti situ qua, porco”. Ma tante immaginazioni dello stupro non sono veritiere. Hanno fatto di peggio ad una ragazzina indifesa, neppure tanto bella, ma non posso raccontarlo. Bella, era la svelta attrice romana. E così sia!
La loggia dei “Trecento” era ed è il centro del mio mondo.
Ci vado ancor oggi ogni sabato e domenica alle ore 12,30 per (ri)vedere un qualche amico, ma bevo da solo il mio spritz al Campari con un assaggio di buona porchetta, che Fabio mi sceglie. Spalle dietro il banco il titolare Paolo Camatta è rimasto unico successore del caffè Beltrame e del bar Biffi col ricordo dei gestori e dei camerieri, ma anche degli affreschi di Barbisan e dei gabinetti unici in loggia.
di Giorgio Fantin